Corte di Cassazione, Sez. III, 31 gennaio 2018 n. 2369

Categoria: Colpa medica

In tema di consenso informato, è il paziente che, per ottenere il risarcimento del danno, deve dimostrare che, qualora fosse stata compiutamente informata dal chirurgo dei relativi rischi, non si sarebbe sottoposta all'intervento.
Il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.

Con questo principio la Suprema Corte ha deciso un caso in cui, sottoposta ad un secondo parto cesareo, la paziente è stata sterilizzata mediante legatura delle tube ed ha citato in giudizio il chirurgo e la struttura sanitaria.

Consenso informato
Il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest'ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l'intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti.
Il medico viene meno all'obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente.

Il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio.
Tale consenso è talmente inderogabile che non assume astratta rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l'intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.

Risarcimento in caso di omesso consenso informato
La mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé considerato, a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente.
Tale tipo di danno non patrimoniale è risarcibile (in via strettamente equitativa) ogniqualvolta varchi la soglia della gravità dell'offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 26972-26975 del 2008, che hanno condivisibilmente affermato che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

Il nucleo della questione
Il paziente che chieda il risarcimento anche del danno da lesione della salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, deve necessariamente allegare, sulla base anche di elementi soltanto presuntivi che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.


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