Immissioni e bilanciamento degli interessi - Non si può essere obbligati a subire l'installazione della canna fumaria
Corte di Cassazione, Sez. II, 07.04.2014 n. 8094
Categoria: Immissioni
Articolo dell'Avv. Nicolò Marella
L'analisi della sentenza di legittimità che pubblichiamo non può prescindere dall'esegesi dell'art. 844 c.c., il quale recita che "Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".
Non è infatti così automatico ottenere dal giudice un ordine di interruzione delle immissioni generate dal vicino, giacché il legislatore impone al proprietario confinante di sopportare le stesse, entro certi limiti.
Ulteriori limiti si incontrano laddove l'immissione sia funzionale alle esigenze di produzione, potendo il giudice del merito valutare, eventualmente, la corresponsione di un indennizzo, proprio perchè la legge non consente di imporne la cessazione.
Purtuttavia, la sentenza in rassegna specifica molteplici profili sui quali appare opportuno soffermarsi.
La vicenda processuale
L'attrice aveva agito in giudizio chiedendo la conferma del provvedimento d'urgenza che accertava la provenienza di immissioni intollerabili di fumo, rumore e odori, dai locali sottostanti la sua abitazione, nei quali una società esercitava attività di ristorazione, nonché l'inibitoria della predetta attività, oltre al risarcimento dei danni.
Si era costituita la società convenuta deducendo di avere ottemperato alle prescrizioni contenute nel provvedimento d'urgenza, ma di non aver potuto procedere alla installazione di una canna fumaria che convogliasse i fumi, secondo quanto suggerito dal CTU, perchè l'attrice non aveva prestato il consenso all'appoggio della canna fumaria al muro esterno dell'immobile di sua proprietà.
Nel corso del giudizio era stata disposta nuova CTU, nonché ispezione dei luoghi.
Il CTU aveva chiarito, avuto riguardo alle immissioni di fumi, che soltanto l'installazione di una canna fumaria avrebbe risolto l'inconveniente, mentre le immissioni di rumore potevano essere contenute riducendo la potenza dei condizionatori.
Trattandosi di immobile situato in centro storico, il CTU era stato incaricato di redigere un progetto per la realizzazione della canna fumaria, e tale progetto era stato approvato dalla Sovrintendenza ai beni culturali.
Nondimeno, l'attrice aveva ribadito il suo diniego all'appoggio della canna fumaria sul muro esterno di sua proprietà.
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda dell'attrice, ritenendo prevalenti le esigenze della produzione su quelle della proprietà, e quindi aveva riconosciuto all'attrice un indennizzo pari a L. 12.000.000, rigettando sia la domanda di inibitoria, sia quella di risarcimento dei danni.
Avverso la sentenza di primo grado, l'attrice proponeva appello, chiedendo l'accoglimento della domanda.
La società si costituiva e chiedeva il rigetto del gravame.
La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado, sulla base dei rilievi di seguito indicati.
Le presunte violazioni dei regolamenti edilizi non erano state dedotte in primo grado, e comunque sarebbero state irrilevanti quand'anche tempestivamente dedotte poiché, per un verso, la società convenuta era in possesso delle autorizzazioni prescritte e, per altro verso, l'art. 844 c.c. non richiama le norme del Regolamento edilizio comunale.
La decisione di primo grado non era contraddittoria, posto che, nel contemperamento tra le opposte esigenze della produzione e della proprietà - richiesto dall'art. 844 c.c., ed effettuato dal Tribunale -, non trovavano giustificazione le ragioni di decoro architettonico addotte dall'attrice per negare il consenso all'installazione della canna fumaria, tanto più che la Sovrintendenza ai beni culturali aveva rilasciato il nulla osta.
Non poteva trovare applicazione, nel caso di specie, il criterio del preuso, dal momento che esisteva la possibilità di eliminare le immissioni con un rimedio ragionevole.
La domanda di risarcimento del danno alla salute, proposta dall'attrice fin dalla fase cautelare, era generica, non essendo stato allegato un pregiudizio specifico conseguente alla esposizione alle immissioni, tanto più che dalla CTU non era emerso che le predette immissioni fossero nocive.
La quantificazione dell'indennizzo riconosciuto all'attrice era stata correttamente effettuata dal giudice di primo grado, tenendo presente non soltanto il costo del rimedio definitivo agli inconvenienti lamentati, ma anche il grado di incidenza di quest'ultimo sul valore commerciale dell'immobile.
Per la cassazione della sentenza d'appello ha proposto ricorso l'attrice.,
La sentenza
L'art. 844, comma 2, c.c. prevede il giudizio di comparazione a fronte di accertate immissioni ai limiti della normale tollerabilità: in tal caso, il legislatore consente di imporre al proprietario l'obbligo di sopportare le immissioni, ove ciò sia funzionale alle esigenze della produzione, eventualmente previa corresponsione di indennizzo.
Si tratta di un tipico giudizio di bilanciamento, affidato al giudice del caso concreto, a partire da una situazione in cui nessuna delle contrapposte esigenze prevale sull'altra, azzerandola.
Viceversa, quando sia accertato il superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, si versa in una situazione di illiceità che, evidentemente, esclude il ricorso al giudizio di bilanciamento e quindi all'indennizzo, e introduce il diverso tema della inibitoria delle immissioni e dell'eventuale risarcimento del danno (ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 939 del 2011; Cass., sez. 3^, sentenza n. 5844 del 2007; Cass., sez. 25820 del 2009).
Nel caso in esame, la Corte d'appello ha ritenuto di poter effettuare il giudizio di bilanciamento, pur in presenza dell'accertamento di immissioni intollerabili, ed ha inoltre giudicato pretestuosa l'opposizione della ricorrente alla installazione della canna fumaria, che era stata individuata, nel corso dell'istruttoria, come unico rimedio per evitare le immissioni consentendo, al contempo, la prosecuzione dell'attività commerciale della convenuta.
La sentenza d'appello ha dunque affermato, sia pure indirettamente, che il proprietario, il quale lamenti - a ragione - il superamento della normale tollerabilità delle immissioni provenienti dal fondo del vicino, è tenuto a prestare il consenso alla costituzione di servitù, ove necessaria alla eliminazione dell'inconveniente, in caso contrario rimanendo assoggettato alle immissioni.
Si tratta, all'evidenza, di una affermazione carente di qualsiasi supporto normativo.
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